Cocaina via mare a Salerno: siamo secondi in Italia
Dopo i tanti record positivi legati soprattutto alla movimentazione delle merci, da pochi giorni il porto di Salerno può fregiarsi di un nuovo primato, questa volta decisamente meno lusinghiero: quello di essere diventato il secondo scalo marittimo in Italia per sequestri di carichi di cocaina. Lo ha certificato il Ministero dell’Interno nella Relazione trasmessa al Parlamento “sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata” firmata dal vicepremier Salvini. Tre poderosi volumi di oltre duemila pagine zeppi di dati e grafici dove si fa il punto sui fenomeni criminali in Italia. E nel panorama dei traffici illeciti un posto di rilievo ce l’ha di certo la droga.
Il caso Salerno. «La posizione centrale nel Mar Mediterraneo e la conformazione geografica che consta di oltre ottomila chilometri di coste – si legge nel dossier del Ministero fanno dell’Italia una delle principali porte di ingresso delle sostanze stupefacentidestinate al mercato europeo. Tale aspetto è favorito, inoltre, dalla presenza di agguerrite organizzazioni criminali – mafia, camorra, ’ndrangheta – caratterizzate da capillari e consolidate ramificazioni all’estero, nonché da un stretto controllo del territorio, che consente loro sia di gestire i traffici internazionali di stupefacenti che mantenere il controllo dei rispettivimercati interni». Tirando le somme nel 2017 «sonostati sequestrati in Italia stupefacenti per 114.588,60kg, di cui 33.126,97 kg (28,91%) presso le aree di frontiera». Sempre nello stesso anno sono stati sequestrati 4.104,07 chili di cocaina (-12,8% rispetto 4.710,75 kg del 2016); i sequestri frontalieri sono stati pari a kg 2.607 (+7,14% rispetto ai 2.433,76 kg del 2016)». Le maggiori quantità di cocaina, dunque, sono state sequestrate proprio in ambito frontalieromarittimo. «Continua ad aumentare il volume di traffico di questa sostanza sulle rotte marittime sottolinea il Ministero – talvolta privilegiandone l’introduzione direttamente sul territorio nazionale piuttosto che mediante il transito dalla Spagna o dal nord Europa, consuete aree di ingresso, transito e stoccaggio della cocaina destinata al mercato europeo». La cocaina arriva in Italia soprattutto attraverso i porti del versante occidentale, proveniente sia direttamente dalle zone di produzione del Sud America, che transitante dai Paesi dell’Africa occidentale. In questo contesto il porto di Gioia Tauro «si conferma come la principale area di ingresso di tale stupefacente: nel 2017 presso questa aerea portuale sono stati sequestrati 1.912,22 kg di cocaina (80,98% del totale dei sequestri in questo ambito frontaliero)». Subito dopo lo scalo di Gioia Tauro c’è proprio Salerno (110 chili sequestrati nel 2017), e poi Genova (kg 94,25). Ma da dove arrivano i carichi di cocaina? Per lo più da Brasile (kg 931,58), Cile (kg 386,47), Usa (kg 307,96), Ecuador (kg 178,61) e Costarica (148,67). Registi del traffico sono soprattutto esponenti della ’ndrangheta (in particolare le famiglie della Piana di Gioia Tauro) o loro diretti affiliati che, da Salerno, controllano l’intera filiera illegale, assicurando il buon esito dell’operazione. Ma non sono solo ’ndranghetisti: anche la mafia in passato ha usato lo scalo di Salerno per l’arrivo di partite di cocaina. Nel marzo del 2017, nell’ambito del blitz “Narcos”, fu eseguito un decreto di fermo emesso dalla Procura della Repubblica di Catania a carico di tre soggetti, due dei quali contigui alla famiglia palermitana di Brancaccio. In una nave cargo proveniente dall’Ecuador erano stati stipati 110 chili di cocaina.
Il borsino dei narcos. La cocaina, dunque, siconferma fra le principali fonti di arricchimento illecito delle organizzazioni criminali. E questo perché offre ai trafficanti elevati margini di guadagno e raggiungendo un bacino di consumatori sempre più vasto. In Colombia, la cocaina cloridrato (sostanza base) sul mercato all’ingrosso costa circa 1.700 dollari al chilo, raggiungendo in Italia il costo di oltre 31mila euro sempre al chilogrammo. Senza considerare che il suo elevato grado di purezza consente diverse operazioni di “taglio” che aumentano esponenzialmente i margini di guadagno. Facendo un po’ di calcoli nel solo 2017 le forze dell’ordine, con i loro sequestri, hanno sottratto alla criminalità organizzata guadagni stimati in 126,5milioni di euro.
Le rotte dei trafficanti. La cocaina cloridrato proveniente dai principali Paesi produttori (Colombia, Perù e Bolivia), «arriva sul mercato italiano attraverso consolidate direttrici marittime e aeree». In particolare: attraverso l’Oceano Atlantico, principalmente a bordo di navi mercantili portacontainer o di imbarcazioni da diporto, giunge in Italia direttamente o dopo aver fatto scalo in porti intermedi in Africa occidentale e in Europa (Olanda, Belgio, Spagna)». Queste rotte sono anche percorse da imbarcazioni oceaniche private, utilizzando equipaggi ad hoc o skipper esperti. Il traffico con l’utilizzo di container prevede tre principali modalità: «inserimento della sostanza all’interno di carichi legali di copertura (soprattutto prodotti ortofrutticoli, scatolame)», che impone all’organizzazione trafficante di accedere alle operazioni di carico e scarico di tali merci; occultamento della cocaina nella struttura metallica del container o sotto il pavimentodello stesso, «che richiede all’organizzazione fornitrice la disponibilità di strutture appositamente modificate o predisposte. In questo caso la stessa organizzazione invia a destinazione un tecnico capace di aprire la struttura del container per estrarre lo stupefacente»; l’impiego di container utilizzati per spedizioni lecite, spesso in transito nei porti di caricamento dello stupefacente, «con la sostituzione dei sigilli doganali, in borsoni che vengono poi prelevati dalla compagine destinataria nei porti di destinazione o di transito». Questo metodo, il cosiddetto “rip off”, consente ai narcotrafficanti «di evitare spedizioni potenzialmente sospette, atteso che un container proveniente da un Paese produttore di cocaina è soggetto a maggiori controlli e ispezioni doganali». La tecnica del “rip off”, prevede inoltre «il coinvolgimento di più membri dell’equipaggio, di addetti all’area doganale e a terra, al fine di garantire il carico/scarico ovvero il recupero in mare, qualora sia necessario lo scarico in punti nave prestabiliti, prossimi alla costa». Un metodo collaudato, tant’è che risulta «molto praticato anche in Italia, con particolare riguardo al porto di Gioia Tauro che, oltre ad essere situato in un’area ad alto indice di criminalità mafiosa, presenta le caratteristiche del porto di transito, il cosiddetto “transhipment”». I container che arrivano in nave ripartono poi in nave. E molti finiscono poi nel porto di Salerno attraverso il servizio di feederaggio. Fonte: La Città di Salerno